Come FAN1 ritarda la malattia di
Huntington
DIANE
RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 09 aprile
2022.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il
cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La grave patologia degenerativa che va sotto il nome
di malattia di Huntington esordisce clinicamente con sintomi motori ad
un’età dipendente dal numero di triplette CAG HTT e modificata dall’intervento
di altri geni; ma il meccanismo che determina il differimento nel tempo dell’epoca
di inizio non è noto.
Ci siamo occupati di recente della corea descritta
da George Huntington, in un articolo dal quale estraggo un lungo brano che
introduce alla patologia e al ruolo delle triplette nel determinare il momento
della vita in cui appaiono le manifestazioni cliniche della patologia
neurologica.
“Fin dall’inizio degli anni Ottanta,
grazie a studi condotti da numerosi ricercatori, che includevano Gusella e Tanzi[1], si è stabilito il collegamento
fra la malattia di Huntington e la ripetizione della tripletta nucleotidica CAG
nell’esone 1 del gene HTT codificante
l’huntingtina (htt) localizzata sul cromosoma 4q16. Tale rilievo include questo
grave disturbo coreico fra le patologie da ripetizione di triplette, o CAG-polyglutamine (Poly-Q) repeat diseases,
definite quali disturbi neurodegenerativi ereditari causati dalla abnorme espansione
di un tratto di ripetizione della tripletta CAG, con la conseguente sintesi di una
proteina con un abnorme segmento poli-glutamminico. In generale, le malattie da
triplette sono caratterizzate dalla ripetizione di tre coppie di basi
nucleotidiche, che possono essere presenti sia in regioni codificanti che non
codificanti, dando luogo ad una moltitudine di differenti fenotipi ereditati,
sia con modalità legata al cromosoma X[2] che autosomica dominante e
recessiva. L’ereditarietà della malattia di Huntington familiare, come già
riportato, è autosomica dominante. Le malattie neurologiche da espansioni di
triplette ripetute, riconosciute e descritte dalla nosografia classica, sono 9:
la malattia di Huntington; l’atrofia muscolare spinale e bulbare (SBMA); l’atrofia
dentato-rubro-pallido-luysiana (DRPLA); sei forme di atassia spinocerebellare
(1, 2, 3, 6, 7 e 17). Tutte queste patologie presentano una correlazione inversa
fra il numero di ripetizioni e l’età di insorgenza, risultante in un fenotipo
patologico di gravità crescente quando la malattia è trasmessa da una generazione
all’altra, per effetto dell’accrescersi della lunghezza di espansione della sequenza
CAG dell’allele mutante: un fenomeno chiamato anticipazione.
Se
da una parte è stabilito con certezza che la lunghezza del tratto di
ripetizione delle triplette nucleotidiche è strettamente correlata con l’età di
inizio della malattia, dall’altra solo circa il 50-70% della variazione
inter-individuale di età di insorgenza può essere spiegata col numero di triplette.
Si suppone pertanto un ruolo di altri fattori genetici e non genetici nel
determinare l’età di inizio della sintomatologia clinica.
Il
numero delle triplette è rilevante perché si realizzi l’alterazione
clinicamente manifesta: da 36 ripetizioni in su si sviluppa la terribile
patologia, anche se fra 36 e 39 sono descritti casi di penetranza incompleta.
In un grafico di distribuzione della lunghezza del tratto di ripetizioni in
pazienti affetti da malattia di Huntington, l’intervallo medio è fra 40 e 45,
ma lo spettro completo è molto ampio e si estende, come è noto da oltre vent’anni,
da 35 a 120[3]”[4].
Dunque, il meccanismo molecolare che traduce in età d’esordio
l’estensione del tratto di CAG ripetute è stato oggetto di studio mediante
approccio genetico da parte di Branduff McAllister e numerosissimi colleghi di
istituzioni e gruppi di ricerca impegnati nelle indagini genetiche sulla
malattia di Huntington. I ricercatori hanno impiegato il sequenziamento esomico
di 683 pazienti con esordio agli estremi o fenotipo relativo alla lunghezza di
CAG per identificare le varianti rare associate con l’effetto clinico. Il
risultato è degno di nota.
(McAllister
B., et al. Exome sequencing of
individuals with Huntington disease implicates FAN1 nuclease activity in
slowing CAG expansion and disease onset. Nature
Neuroscience 25,
446-457, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Division of Psychological Medicine and Clinical
Neurosciences, Cardiff University, Cardiff (Regno Unito); School of Biosciences,
Cardiff University, Cardiff (Regno Unito); Institute of Molecular Cell and
Systems Biology, University of Glasgow, Glasgow (Regno Unito); Molecular
Neurogenetics Unit, Center for Genomic Medicine, Massachusetts General Hospital
and Department of Neurology, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts (USA);
Department of Neurology, University of Ulm, Ulm (Germania); Brain Repair Group,
School of Medicine and Biosciences, Cardiff University, Cardiff (Regno Unito);
REGISTRY Investigators of the European Huntington’s Disease Network; PREDICT-HD
Investigators of the Huntington Study Group.
Per introdurre a questa grave
patologia neurodegenerativa, Giovanni Rossi ha di recente proposto, dopo un
riferimento biografico a George Huntington, una presentazione sintetica in cui
si cita anche un mio articolo precedente; qui riporto questi brani prima di
esporre in breve l’esito dello studio qui recensito.
“Un cenno
storico sul medico dal quale la malattia trae l’eponimo ci aiuta a renderci
conto di quanto lungo e difficile sia stato e sia ancora il cammino per
giungere a comprendere la patologia alla base di questa malattia, compiutamente
descritta per la prima volta 150 anni fa.
George Huntington,
nato a Long Island nel 1850, era ancora adolescente quando, accompagnando nelle
visite suo padre – medico di fama come lo era stato suo nonno Abel, anche
senatore dello stato di New York – vide in due donne, madre e figlia, movimenti
involontari aritmici a scatti, che lo colpirono molto. Il padre gli spiegò che non
era in grado di diagnosticare l’origine di quei sintomi e che erano probabilmente
dovuti a una malattia ancora sconosciuta. Compiuti i diciotto anni, George si
iscrisse alla facoltà di medicina della Columbia University e si laureò tre
anni dopo con una tesi sugli effetti dell’oppio, ma durante tutto quel periodo
aveva continuato a pensare a quelle donne che improvvisamente erano disturbate
da movimenti indesiderati, fastidiosi e imbarazzanti.
Dedicò un
anno a studiare la malattia che aveva caratterizzato come “corea”, dal termine
greco per “danza”, seguendo i neurologi che avevano descritto quei sintomi in
casi isolati, notando la propensione per la danza nei pazienti che ne erano
affetti[5]. George Huntington lavorava come medico di medicina
generale nella città di Pomeroy nell’Ohio, ma la famiglia di pazienti di suo
padre nella quale descrisse il disturbo ipercinetico ereditario era come
lui di Long Island.
A
ventidue anni, il 13 aprile del 1872, pubblica On Chorea[6] un articolo che aveva già letto come saggio davanti
alla Meigs and Mason Academy of Medicine at Middleport (Ohio) il 15 di febbraio
dello stesso anno. In questo documento di storia della medicina, dopo aver
fatto riferimento a due casi pubblicati da Romberg di pazienti affetti da corea
con l’interessamento dei muscoli della respirazione, dopo aver attribuito a
Flourens l’ipotesi della patogenesi cerebellare e aver citato casistiche di corea
di centinaia di casi o di più di mille (1029 di Watson), specifica che la
malattia da lui studiata è ereditaria. Attualmente, i casi ereditari sono
stimati nell’ordine del 90% del totale.
Qui di
seguito si riporta un’introduzione alla patologia della malattia di Huntington tratta
da nostri precedenti articoli.
“Diane
Richmond si esprimeva così: ‘La malattia
coreica, descritta come disturbo ipercinetico ereditario per la prima volta
nel 1872 in una famiglia di Long Island da George Huntington, medico di Pomeroy
nell’Ohio, è una grave patologia neurodegenerativa ad andamento progressivo che
attualmente riguarda, nelle varie fasi della sua evoluzione, circa 30.000
persone nell’America del Nord.’[7].
La malattia, che in circa il 90%
dei casi è ereditata come un carattere mendeliano autosomico dominante e nel
rimanente 10% è originata de novo, è causata
da disfunzione e degenerazione di neuroni dei nuclei della base del telencefalo
(gangli basali) e poi di regioni corticali,
con la conseguenza sintomatologica di movimenti involontari come di danza (corea), vari sintomi psichiatrici e,
infine, demenza[8].
In particolare, è stata osservata una precoce disfunzione e perdita di
interneuroni inibitori GABAergici delle formazioni dello striato, cui
conseguono i segni e sintomi iniziali”[9].
Ritorniamo ora a Branduff McAllister e a tutti gli altri ricercatori
che hanno cooperato per il sequenziamento esomico del DNA di 683 pazienti
affetti da malattia di Huntington al fine di trovare le rare varianti associate
alla cronologia di esordio clinico.
Sono
state scoperte varianti codificanti danneggianti in candidati geni
modificatori, identificati in precedenti studi genetici di associazione
estesi all’intero genoma (GWAS, genome-wide association studies), che si
sono rivelate associate ad alterato esordio della malattia di Huntington o alla
sua gravità.
Le
varianti in FAN1 erano associate prevalentemente con l’esordio precoce. L’attività
nucleasica delle varianti purificate in vitro era correlata con l’età
residua alla comparsa delle prime manifestazioni sintomatologiche motorie della
malattia. Mutando la FAN1 endogena in una forma nucleasica inattiva, in un modello sperimentale di malattia di Huntington costituito da cellule
staminali pluripotenti indotte, portava a quote di espansione di CAG simili a
quelle osservate con il completo knockout del gene FAN1.
Presi insieme, questi dati
implicano l’attività della nucleasi FAN1 nel rallentare l’espansione somatica
del tratto di triplette ripetute dell’huntingtina e, da ciò, l’epoca di esordio
clinico.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle
recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane Richmond
BM&L-09 aprile 2022
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gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e
culturale non-profit.
[1] Gusella J. F., et al. A polymorphic
DNA marker genetically linked to Huntington’s disease. Nature (5940): 234-238, 1983.
[2] È il caso dell’atrofia muscolare
spinale e bulbare (SBMA).
[3]
Gusella J. F. & McDonald M. E., Huntington’s disease: CAG genetics expands
neurobiology. Current Opinion in
Neurobiology 5 (5): 656-662, 1995.
[4]
Note e Notizie 05-02-22
Per la malattia di Huntington una terapia dalla delezione di SUMO1. Si consiglia la lettura
integrale di quest’articolo che recensisce una scoperta importante da
conoscersi.
[5] Questa origine dell’uso del termine
“corea” è riportata da George Huntington stesso in On Chorea e sembra
fornire una ragionevole spiegazione, in quanto il sintomo coreico non
assomiglia affatto a un movimento di danza.
[6] George Huntington M. D., On Chorea. The Medical and Surgical
Reporter 26 (15): 317-321, April 13, 1872. (The Medical and
Surgical Reporter: A Weekly Journal published in Philadelphia by S. W. Butler).
L’articolo
è attualmente nel dominio pubblico e può essere reperito sul web dal titolo.
[7] Note e Notizie 22-10-11 Un marker
per la malattia di Huntington.
[8] L’età media di insorgenza è
intorno ai 40 anni, il decorso termina con esito infausto 15-20 anni dopo. La
prevalenza è molto più bassa di quella delle altre patologie neurodegenerative
causanti demenza ed è prossima a quella della SLA.
[9] Note e Notizie 05-02-22 Per
la malattia di Huntington una terapia dalla delezione di SUMO1.